VII

CONCLUSIONE

Il problema critico ariostesco ha avuto un generale svolgimento complesso e ricco di intuizioni e di incomprensioni, di approssimazioni finissime e di deformazioni intellettualistiche e impressionistiche (e si può dire che pochi testi di grande poesia hanno avuto come il Furioso un’azione ugualmente stimolante di finezze e di attenzioni squisite e insieme un potere inebriante e pericoloso verso avventure di scoperte, di travestimenti, di appesantimenti sofistici); ma è dal primo Ottocento (che utilizzava del resto le abbondanti intuizioni settecentesche) che lo studio di questa grande poesia ha seguito una linea di sviluppo piú sicura e serrata che meglio può indicarci anche le esigenze della critica ariostesca nel suo stato attuale e nelle particolari condizioni del gusto contemporaneo[1].

L’esigenza storica, cosí viva e pericolosa nei vasti disegni schematici dei romantici, cosí vigorosa nel De Sanctis (e tesa a una piú decisa volontà critica caratterizzante da cui pur nacquero le formule improprie criticate dal Croce), cosí minuta e pedantesca nei seguaci del «metodo storico», si pone, al di là delle particolari giustificazioni in cui si manifestò, come un’esigenza particolarmente viva ed anzi operante con tanto maggior vigore e con tanta maggior coscienza di scopi e di mezzi dopo la chiarificazione crociana e le letture della critica estetica affermatesi nella fase aperta da quella. E se il nostro gusto contemporaneo poté apparire «svogliato» di fronte alla limpida profondità del Furioso, alla sua classica distinzione di piani (vita di esperienza diretta e regno di fantasia in cui l’esperienza è assunta nel suo calore e nella sua offerta di concretezza, ma purificata, trasformata, e privata di ogni fremito pratico e di ogni confusione documentaristica o estetizzante[2]), sta di fatto che proprio l’apertura spregiudicata della lettura moderna e l’esperienza critica crociana e postcrociana offrono (e le indicazioni già date circa l’orientamento degli studi ariosteschi negli ultimi anni lo confermano) al problema critico ariostesco una vera chiarezza di consuntivi e di esigenze. Occorre non perdere la base di una formula unificatrice e la squalifica dei singoli «contenuti» del saggio crociano e l’offerta in essa contenuta di un legame veramente esemplare tra vita degli affetti, motivo ispirativo che rende gli affetti materia poetica ed i coerenti mezzi di attuazione poetica; occorre non perdere l’indicazione di un contatto diretto con il mondo poetico realizzato e con le sue particolari dimensioni, variamente contenuta nel saggio di un Momigliano o di un Ambrosini (in cui riaffiorano modernamente le esigenze piú alte di un Foscolo o di un Gioberti); e insieme occorre recuperare la piú precisa esigenza storica di un De Sanctis e persino quella degli eruditi di fine Ottocento in una diversa consapevolezza della sua funzione rispetto al valore poetico e della sua unitaria complessità di storia a parte subjecti, nella sua ricchezza di motivi storici generali e di tradizione letteraria, utilizzata e rivista nell’atto di scelta e di creazione del poeta.

Una nuova attenzione alla storia del Rinascimento, nella sua potente vitalità e nella sua aspirazione alla perfezione, nel suo spregiudicato realismo e nel suo alto platonismo tutt’altro che insincero e di comodo[3], dovrebbe coincidere con una indagine piú precisa sulla poetica rinascimentale e sulla cultura letteraria che l’Ariosto utilizzò nelle sue essenziali esperienze artistiche, in uno sforzo di interpretazione storica integrale delle condizioni in cui sorge e si alimenta la poesia ariostesca, tutt’altro che ingenua e inconsapevole dei propri scopi e dei propri mezzi, tutta ricca di un impegno nella vita del proprio tempo, forte quanto il distacco personalissimo da una semplice rappresentazione della realtà. E quindi la critica ariostesca dovrebbe approfondire – in un ideale metodo di interpretazione superiore ad una semplice ricerca di stile come ad una considerazione dell’opera d’arte quale riflesso e sopra-struttura di condizioni di società – la conoscenza dei rapporti originali fra l’Ariosto e il suo tempo e insieme quella dello svolgimento concreto della poesia ariostesca nel suo nucleo ispirativo, dalle opere minori al capolavoro, di cui dovrebbe studiare l’elaborazione, sorprendendo l’attivo operare della fantasia, il suo muoversi e il suo concretarsi mediante propri mezzi espressivi in opera conclusa e perfetta, ma sentita sempre nel suo intimo dinamismo, nella sua inesauribile vitalità: «colonna luminosa nella storia dello spirito umano», capolavoro del complesso sentimento di armonia e di concretezza del Rinascimento e insieme opera assoluta di un’individualità poetica che solo considerazioni inadeguate poterono sentire come povera di umanità, come «ingenua» espressione di un’epoca, o viceversa come isolata in un sogno senza tempo e senza consapevolezza della propria forza e della propria natura.


1 Ricordandoci però che anche nelle osservazioni dei lettori del Cinquecento e Seicento si possono trovare, pur nei loro particolari limiti critici, spunti indicativi e riprove per un’interpretazione critica attuale. Cosí, tanto per dare qualche esempio, nelle osservazioni del Pigna sulla cura di eufonia dell’Ariosto nelle sue correzioni, anche a scapito della convenienza e della chiarezza contenutistica, troverà conforto la moderna accentuazione di una volontà di armonia e di musicalità intrinseca dell’Ariosto, e nelle stesse critiche del Fioretti alla coerenza dei personaggi ariosteschi il lettore moderno potrà indicare una lontana e storta indicazione di una condizione caratteristica del Furioso, dell’attenzione ariostesca piú al ritmo delle vicende poetiche che non al rilievo dei «caratteri».

2 Secondo le vivaci osservazioni di G. Piovene nel saggio L’Ariosto e i moderni, «Pan», 10 dicembre 1934, pp. 612-616.

3 Ed è proprio qui il punto di partenza di una sicura opera di storia letteraria che presuppone non l’utilizzazione di uno schema storico mutuato convenzionalmente da storie generali, ma una ricerca aggiornata e personale del critico (il caso ideale di un Croce storico dell’età barocca e critico della poesia secentistica).